La scoperta delle città e del territorio antico, interrotto alla vita dall’eruzione del Vesuvio del 24 Agosto del 79 d.C., ha rappresentato un momento determinante ed in gran parte risolutivo per la conoscenza del mondo romano-italico, perché quello che del mondo antico si intravedeva attraverso i resti monumentali di Roma Imperiale o attraverso i ruderi, che punteggiavano le campagne romane e le coste campane, appariva fuorviante. La parzialità delle cose conservate e i troppi rimaneggiamenti che i resti antichi avevano subito nei secoli, infatti, non permettevano un approccio corretto ed una conoscenza soddisfacente di ciò che era il mondo romano. Gli stessi testi antichi, greci e romani, apparivano spesso oscuri ed enigmatici, non avendo i moderni davanti agli occhi ciò di cui essi trattavano, in quanto ciò che per chi scriveva era scontato, per chi leggeva dopo molti secoli era assolutamente oscuro.
Gli scavi vesuviani, invece, restituivano un’immagine della vita antica intatta, ferma come un’ immagine della vita antica intatta, non deturpata dal progredire degli anni e non restituivano solo i tesori vagheggiati e perseguiti nell’immaginario collettivo, ma anche la vita quotidiana con tutti i suoi molteplici aspetti e le architetture dalle forme più nobili fino alle soluzioni più semplici. Era il mondo antico che dopo anni di oblio appariva in tutta la sua complessità, ma anche con tutto il dramma della fine.
La progressione degli scavi archeologici e i continui rinvenimenti suscitarono tanti clamori e tali interessi da spingere la cultura settecentesca, illuminista e cosmopolita, a riscoprire ed interpretare in modo diverso il mondo antico, anzi ad assumerlo come modello, dando vita al cosiddetto Neoclassicismo che caratterizzò le Arti e le Lettere dell’Occidente europeo per oltre un cinquantennio a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. L’archeologia vesuviana determinò il passaggio dall’antiquaria e dal collezionismo, che ragionavano su oggetti avulsi dal loro contesto, alla conoscenza filologica del mondo antico, perché per la prima volta si potevano vedere le decorazioni nel loro reale spazio architettonico, gli oggetti nel loro naturale contesto domestico, i monumenti nella loro logica configurazione urbanistica, la città nel suo rapporto con il territorio.
Eppure Pompei non è importante soltanto per la rappresentazione del dramma che ha conservato, né per la grande quantità di decorazioni ed oggetti che ha restituito, ma perché è essa stessa esempio tangibile della romanità che aveva civilizzato e marchiato in modo così determinante l’occidente e l’oriente mediterraneo. In effetti, non era Roma la grandezza dell’Impero bensì le migliaia di città romane come Pompei, sparse dall’Oceano Atlantico al Mar Nero, dalle fredde lande del Mar del Nord alle sponde infuocate del Mar Rosso, ove albergava la sana economia, la correttezza dei costumi, la saldezza di un popolo che faceva della comune cultura la propria vera forza.
Conoscere Pompei significa aprire uno squarcio considerevole sul mondo antico e se nelle considerazioni dell’archeologo o dello storico rientrano tutte queste considerazioni, è innegabile il senso di genuina avventura che attanaglia anche il visitatore più sprovveduto allorquando varca le mura della città. Le strade basolate , il foro monumentale e quasi intangibile, le case articolate, le botteghe vezzose e invitanti, i laboratori artigiani, le pitture dai colori vivaci e dai temi pretenziosi, i mosaici, gli oggetti si offrono agli occhi del visitatore con tutto il loro realismo; e sembra che dietro l’angolo si debba incontrare per davvero la giovane ancella che va a riempire con l’acqua potabile l’idria nella vicina fontana, il cliente che si accinge a bussare alla porta del proprio patrono, il gruppetto di giovani intraprendenti che discutono animatamente delle prossime elezioni politiche, l’oste che si lamenta per gli affari che vanno male.
Perché bisogna impegnarsi doverosamente per mettere in atto tutto quanto è possibile per salvaguardare Pompei? 250 anni fa il primo colpo di piccone ridava vita ad una città dormiente coperta da una spessa coltre di cenere e lapilli, ma allo stesso tempo avviava, con la sua messa in luce, anche un inesorabile e lento decadimento. E’ opinione unanime che i 23 ettari di città ancora sepolta, rispetto ai 44 già scavati, debbano restare tali per permettere alle prossime generazioni di poter godere di questo immenso patrimonio di civiltà e cultura, allo stesso modo di quelle passate. Nuove sensibilità richiede la conservazione di questo sito unico e irripetibile. Questo portale informatico, quindi, vuole essere una testimonianza di ciò che Pompei e le altre città seppellite dal Vesuvio, rappresentano, ed una speranza affinché la conoscenza di queste aree serva ad alimentare nell’uomo moderno un maggior rispetto e una migliore considerazione nei confronti del proprio passato.
dott.prof. Salvatore Ciro Nappo